L’ INCANTESIMO DELLA MASSIFICAZIONE
di Manuela Barbarossa
Capitolo 1 – Parola d’ordine: liquidare l’individuo
Quest’epoca dell’individuo, della soggettività, non ne vuole sapere proprio nulla, ne vorrebbe decretare il declino dileguando sia l’individuo che la soggettività nel nulla del niente della collettività, della comunità, nel numero, nell’anonimato del così fan tutti.
L’individuo rinvia all’unicità dell’essere e ha sempre portato con sé la potenza della singolarità. Una potenza rivoluzionaria.
La parola chiave infatti è “singolarità” in tutta la sua forza di individuazione del Sé, che si sviluppa a partire dalla coscienza, quale origine dell’individuazione soggettiva che rende l’uomo libero di scegliere, di pensare, di sviluppare la propria capacità critica.
Si parte dalla coscienza, per arrivare a forme inconsce di disvelamento della realtà, intuitive oltre che riflessive, che sono al di là della coscienza stessa.
Ma per andare altrove, per andare oltre, nell’aldilà dell’aldiquà. Per sviluppare la conoscenza, fonte alla quale la libertà si abbevera, si deve partire dallo sviluppo del Sè.
Kierkegaard lega indissolubilmente la soggettività alla libertà di scegliere, la quale apre alla possibilità di una esistenza dove puoi decidere tra il bene e il male. Da che parte stare.
La scelta è una dimensione psichica forte, importante, che si fonda sulla soggettività, sulla dimensione dell’essere.
Da un punto di vista psichico l’individuo rappresenta la distinzione dall’altro, ciò che è in sé.
E questa identità gli consente di essere.
È interessante andare a scoprire che anche in biologia il concetto di individuo significa “un singolo ente … distinto da altri della stessa specie, dotato di caratteri …che ne garantiscono l’unicità”.
E in chimica, ancora, gli individui chimici si contrappongono ai miscugli…..unicità contro miscuglio, distinzione.
La lettura simbolica di queste illuminanti definizioni ci conferma quanto l’identità soggettiva, l’individuo, nella sua specificità, sia eterodosso rispetto alla massa, al gruppo, alla comunità…. eterodosso rispetto a tutto ciò che vorrebbe avere un primato sulla soggettività, la quale definisce l’unicità.
L’essenza dell’essere che si può sintetizzare nel Sono Io della singolarità, si contrappone all’anonimato dell’organizzazione di un divenire sociale massificante e impersonale.
Nella società moderna, quella di massa, una volta bandita ogni forma di singolarità dell’essere, l’individuo, per esistere, deve conformarsi a tutti gli altri, deve omologarsi per sentirsi parte di un tutto.
L’omologazione, la perdita di autonomia individuale, del valore della soggettività propria, il crescente conformismo, sono tutti aspetti sollecitati e subdolamente imposti dalla società di massa, aspetti che divengono una sorta di seconda natura. Altrimenti sei posto ai margini o avversato.
Capitolo 2 – L’equivoco.
Vi è in questo processo posto in essere dalla società di massa un pericoloso equivoco.
Tutto ciò che è gruppo, categoria, comunità, lo è solo funzionalmente.
La formazione di una comunità, o di un gruppo, è sempre connessa ad aspetti particolari dell’essere, ad alcune precipue sue connotazioni.
I gruppi, la comunità, sono forme di alleanza che sono una risposta funzionale a dei bisogni.
La stessa società è una formazione funzionale alla sopravvivenza.
È un’alleanza tra individui.
Una particolare organizzazione sociale.
Ma la soggettività trascende ogni forma organizzativa. La produce e la trascende.
Le forme organizzative che l’umanità si è data, sono un derivato e variano, mentre l’essenza del soggetto, la sua dignità e identità, restano.
Per dirla con Hegel: l’individuazione di sé stessi rappresenta il mantenere la propria identità nel divenire.
Il concetto di identità è dunque un concetto fortemente individuale, e come ci insegna S. Freud, l’identità è innnazi tutto un Io corpo, ovvero la nostra corporeità singola e inviolabile.
Una unità tra mente e corpo.
Il rispetto per l’individuo e la sua unicità è infatti un universale che va al di là del particolare.
Va oltre il fatto che tale individuo abbia caratteristiche determinate per colore della pelle o per credo religioso, o per età. O altro.
Che sia rappresentante di una precisa etnia.
O di un gruppo specifico.
Qualsiasi determinazione dell’essere non può offuscare o limitare l’unicità e la dignità dell’individuo. Di ciscun individuo. Non può negare la sua totalità, la sua soggettività dotata di forme sensibili ed emotive che gli appartengono.
Qualsiasi forma di organizzazione umana deve dunque presupporre sempre il mantenimento della soggettività , del singolo, della sua determinazione e della singolarità dell’essere.
Ma la soggettività, se espropriata a favore di qualcosa di altro da sè che si impone, da qualcosa che si sostituisce ad essa, come è avvenuto con la società di massa, si aliena e il soggetto perde la propria identità.
Perde sé stesso.
Se il valore dell’individuo si depaupera a favore di altro da sè, ad esempio a favore di un collettivo/massa indistinto, al soggetto così depauperato della propria identità soggettiva, non rimane che il ruolo di satellite di un pianeta: la società di massa.
Questo cambiamento di prospettiva, sia personale che sociale, sovverte tutti i principi dell’essere e dell’unicità dell’essere e innesta un processo di spersonalizzazione a favore della società/comunità sociale che si impone, con un coup de teatre, essa stessa come soggetto al posto dell’individuo, ne prende il posto e detta nuovi principi e nuove regole, che vanificano il primato dell’ individuo e i valori che lo sostengono.
L’individuo è così ridotto al ruolo di predicato di un nuovo soggetto: la società di massa, la comunità sociale.
Capitolo 3 – Risposte a domande mai poste
La domanda se l’uomo sia un animale sociale è una domanda ideologica, fuorviante. Poco interessante.
Spesso le questioni nascono da quesiti che sono mal posti e che indirizzano il pensiero là dove lo si vuole far andare.
Nella società di massa, quella che oggi viviamo, la società vince sull’individuo che viene ridotto a predicato, a derivato, a satellite.
E per sostenere questa débâcle della soggettività, è necessario un fine lavoro di cesello psichico.
La società di massa, per imporsi e mantenere il suo primato sull’individuo, per sostituirsi ad esso, utilizza un esprit de finesse: fornisce risposte a domande mai poste.
Le risposte inducono la domanda che viene sollecitata dalle risposte che sono a loro volta già pronte per l’uso.
Ma la domanda quando è suggerita e indotta, non autenticamente e veramente formulata, non serve a nulla poiché non nasce dal pensiero e dall’interrogazione del soggetto, non rappresenta il desiderio di sapere. La libertà del volere. Non diventa ricerca che poi è il vero valore della domanda. Ricerca.
La domanda indotta dalla risposta pronta che la precede, è solo un derivato funzionale alla risposta confezionata. La società di massa, essendosi imposta come soggetto, esige solo predicati, derivati , e fonda il suo esistere sull’assunto che l’uomo è un animale sociale.
Ecco la risposta ad una domanda mai fatta.
Ma è poi così rilevante e … rivelante sapere se l’uomo sia o non sia un animale sociale?
Non esiste una ontologia della natura sociale dell’uomo, un istinto primario che spinge alla comunità che non sia quello di sopravvivenza, che rappresenta un impulso all’autoconservazione.
Ma questo impulso non ci indica che l’uomo sia un animale sociale, ovvero dedito al collettivismo …per natura.
Ma solo che tende a collettivizzarsi per vivere. Ed è qui la furbizia della ragione.
Se l’individuo costruisce una “società”, lo fa per necessità, per una forma di alleanza funzionale e dunque la società, in qualità di prodotto dell’essere, è secondaria rispetto all’essere stesso, alla soggettività, all’individuazione e deve porsi al suo servizio.
La noiosa e annosa definizione dell’uomo animale sociale non è per nulla interessante o utile a legittimare la priorità del collettivo.
Ha senso affermare tale assunto solo ed esclusivamente se si vuole dare al collettivo, alla comunità, alla società, un fondamento “naturalistico” “metafisico”, ontologico, tale da giustificare il cambio di prospettiva.
Dare al collettivismo una validazione “originaria”. In questa ottica è la società, la collettività , la comunità il vero soggetto del discorso, e l’individuo è secondario, funzionale alla società. Un suo predicato.
Un fondamento pseudo “naturalistico” quello dell’uomo animale sociale, ideologico, che vorrebbe legittimare la società di massa, la comunità, la dittatura dell’ Altro, ad assumere un valore di posizione che non ha.
La questione vera e sostanziale, che al contrario mantiene la primarità del soggetto, dell’individuo, della sua identità e unicità, è un’altra: quella della relazione.
La relazione intesa come rapporto individuato e significante con ciò che è fuori di sè. Con l’alterità.
È esperienza universale che la vita mette gli esseri in relazione. Ad altri esseri, alla natura, all’universo. La relazione apre all’altro . Apre allo spirito.
La relazione è il vero fondamento dell’essere, in quanto nella relazione il soggetto trova se stesso, lo spazio per esser ciò che è e lascia all’altro lo stesso spazio di esistenza.
La relazione è la struttura dialettica attraveso la quale l’identità di ciascuno resta tutelata nel rispetto dell’autenticità dell’essere e dell’altro.
La relazione è il luogo che “lega” il soggetto all’altro da sé, senza dover abdicare alla propria singolarità. E’ aperta alla dimensione della scelta. E dunque della libertà.
Ma abbiamo oramai compreso che la società, nell’epoca moderna, non è più solo una forma di organizzazione collettiva che ha come fine l’autoconservazione e lo sviluppo e il rispetto della singolarità, la tutela dell’individuo.
La società di massa, la comunità sociale, si è è autoproclamata lei stessa il soggetto del discorso, lei stessa è divenuta un corpo identitario che prende il sopravvento sul singolo.
Da qui la necessità di liquidare l’individuo e prenderne il posto. Assoggettarlo a sè. E cambiare la prospettiva.
Come in quei films, inquietanti, che vedono i Robot, costruiti per aiutare l’uomo per consentirgli una migliore qualità di vita, prendere il sopravvento, ucciderlo o schiavizzarlo e divenire loro i veri “soggetti” del mondo.
La società moderna che avrebbe dovuto essere una forma di organizzazione finalizzata a tutelare l’individuo si è ribellata a questo ruolo di “servizio” e ha voluto divenire lei stessa “individuo”, il soggetto del discorso.
Capitolo 4 – La società di massa.
Idealizzare, deificare la società, farla diventare il vero “soggetto” moderno che deve sostituirsi all’individuo, necessita di alcuni passaggi.
Prima di tutto una società di massa, in quanto tale, deve liquidare la soggettività, l’unicità dell’essere. Proporsi lei come soggetto al suo posto.
Deve poi attuare una trasformazione sia psicologica che antropologica, una inversione dei valori e dei perimetri che fondano la soggettività.
Al suo posto deve instaurare una sorta di “opens space dell’anima”.
E credo che questa definizione offra una esatta fotografia dei nostri giorni.
I valori che difendono l’individuo e la sua integrità fisica e psicologica, quell’inviolabile unità di mente e corpo, la sua totalità, la libertà di scelta, l’autodeterminazione, la dignità dell’essere, la privatezza dell’esistere, la singolarità, l’identità corporea propria, devono essere spazzati via.
Si deve necessariamente proporre altri valori, massificanti, antisoggettivi, come il concetto di “partecipazione”, di sacrificio e si deve sviluppare il senso di colpa di non esserti collettivizzato, di non immolarti alla causa collettiva, di non voler dare priorità alla comunità.
Di voler resistere con il tuo insistente e caparbio Sono Io.
Si deve mortificare quell’ingombrante Sono Io – locuzione che promuove l’essere e la singolarità dell’essere e che indica l’identità e la singolarità.
Bisogna favorire al contrario, contro il Sono Io , un Ego collettivo, che esalti l‘Io sociale. Un simulacro di Io omologato alla società di massa.
Un gioco di prestidigitazione interessante, quanto patologico, che confonde le menti e mistifica l’esito.
In qusto caso L’Io promosso dalla società di massa resta solo un pronome grammaticale, che identificato con il noi della società di massa , diviene un suo derivato, una appendice. Si afferma la necessità della società di massa, postasi quale unico soggetto del discorso, di esigere solo predicati.
Quell’Io sono sociale collettivizzato, funzionale alla società di massa, nulla c’entra con l’individuazione e lo sviluppo del Sè.
E neppure con la relazione, quella autentica, che prevede la soggettività, l’individuazione, l’identità propria.
È un Io sociale promosso e sostenuto attraverso una pervasiva industria culturale , dalla società di massa. Un Io che afferma che Io ci sono, e che trova la condizione ideale nella massa stessa per esprimersi, per esistere, per provare quel senso di potenza che gli consente di esserci e dire e fare qualche cosa solo perchè ha il sostegno della collettività, della massa.
Si sente parte di un tutto.
L’Io sociale promosso dalla società di massa è un Io sono in quanto Io ci sono e sono sostenuto dalla massa, dalla collettività, dalla dittatura della maggioranza.
Dal Noi.
Lontano dalla vera relazione con l’altro, L’Io sociale identificato con la massa, con i valori promossi dalla società di massa, fa proprie le risposte senza mai avere posto le domande.
Segue il branco.
È l’Io sociale massificato, un prodotto, un derivato , è l’omolagazione ….fatta persona.
La società di massa prende il sopravvento, si erge a Dio e crea “l’uomo a sua immagine e somiglianza”: ovvero elimina l’individuo e produce l’Io sociale. Il noi.
L’Io sociale sostiene i valori promossi dalla società di massa, quelli a lei funzionali, come l’abnegazione, come il “tutti insieme appassionatamente”, il concetto di inclusività, antitetico a quello di relazione, concetti vacui, conformati, confezionati, valori che promuovono il nuovo soggetto funzionale: il Noi siamo.
Valori che promuovono la tutela del collettivo, che vanificano l’individuo disgregando la sua libertà di scelta, la sua dignità, il suo corpo del quale entra in possesso sia virtuale che reale.
La promozione di un Io sociale e collettivo, in questa epoca di social (il nome non è casuale!) di “forzate” condivisioni, di collettivizzazione, di relazioni virtuali, di guardonismo sociale, di mimetica, che si sente partecipe di un immaginario noi siamo, induce ad essere “fotocopie” di una identità perduta.
L’Io sono sociale, sostenuto dai mezzi di comunicazione, martellanti, ossessivi, invasivi, diviene simulacro di un Io vanificato e mortificato.
Da qui la spersonalizzazione quale effetto boomerang che si sviluppa nella società di massa che, liquidando l’individuo e la sua singolarità, riportando la società a categorie psicologiche pre-soggettive, arcaiche, determina un aumento delle patologie relazionali e delle patologie connesse alla solitudine, all’isolamento, alla perdita dell’identità dell’essere.
Ed ecco un aumento esponenziale della sindrome denominata Hokikomori tra i giovani, che tendono ad isolarsi, a non relazionarsi, a disconoscere se stessi e il mondo.
Capitolo 5 – L’incantesimo della società di massa
Nella Seconda guerra mondiale, atroce e terribile, il nazismo, nei campi di concentramento, ha messo dei numeri al posto delle persone, violando l’individuo in tutto ciò che poteva essere violato.
Oltre il limite del dicibile e del pensabile.
Per violare e annullare l’identità soggettiva, ha creato una roboante categoria sociale fasulla, quella di “razza”, funzionale al disegno criminale in atto.
Nel concetto di “razza” ha annullato la singolarità dell’essere vanificandola, capovolgendo gli stessi valori morali ed esistenzaili che sostengono la vita soggettiva.
L’identità dell’essere ciò che siamo.
La propaganda dell’epoca, sostenuta da una schiera di servi e di ideologhi di Stato, si era spinta addirittura a descrivere impersonali e offensive “tipologie” di esseri umani, di individui, definendoli attraverso schemi fisici, intellettivi, economici.
La violazione della soggettività, dell’individuo, la sua totalizzante violazione, la cancellazione della singolarità, della dignità soggettiva ha trovato, in una epoca storica dedita alla violenza, nel concetto di razza, il suo apogeo.
Il nazismo ha innanzi tutto dovuto esaltare la massa, ha dovuto esaltare il Noi, attraverso una campagna denigratoria del singolo, del soggettivo, annullandolo e distruggendolo.
Il singolo va destituito. Non ha rilevanza. È solo un numero.
Deve esistere solo il Noi.
Creata la categoria sociale del Noi, possiamo creare la categoria sociale del loro. Noi e loro.
Due entità impersonali, arcaiche, simbolo di un primitivismo presoggettivo.
Categorie massicce e massificanti, che promuovono una identificazione sociale collettiva.
Nulla di più adeguato a tale scopo che l’utilizzazione del concetto di “razza”, che offre un’opportunità unica: quella di liquidare l’individuo e sostituirlo con un “collettivo” legittimato da basi genetiche e biologiche. Ontologiche.
La razza! Noi e loro.
E se la società tedesca diviene sotto i colpi del nazismo un enorme e mostruoso Io sono collettivo, trasformatosi inevitabilemente attraverso l’omologazione e l’esaltazione in un accecante Noi siamo …la razza eletta, dall’altra parte, in questo delirio di una società di massa standardizzata, non può non esistere una razza inferiore, che dia valore di verità a quella superiore.
Se non ci fosse il buio, la luce non avrebbe senso.
Nel concetto di “razza”, il collettivismo presoggettivo e antisoggetivo mostra il suo lato primitivo oscuro, l’apogeo del nulla del niente, il vuoto simulacro del non essere.
La sua orribile e spregevole negligenza di fronte a Dio.
Secondo il pensiero di A. Hitler, consegnato nel libro “la mia battaglia”, il bene comune viene prima del bene privato.
Il collettivo supera il singolo. La società vince sull’individuo.
Le categorie impersonali, le sigle, i numeri, sostituiscono la soggettività, principio di individuazione e di dignità dell’essere.
Viene spazzato via il Sono Io, che resta l’unica luce nel tunnel gelido della massificazione e dell’ideologia del collettivo /massa, che conduce al vuoto.
Che conduce alla creazione di un esercito di quegli uomini vuoti che Thomas Stearns Eliot descrive nella sua poesia “The Hollow Men”.
Là dove viene meno l’individuo, la sua totalità e singolarità, la sua soggettività e dignità a fondamento del tutto, là dove viene bandita la libertà dell’essere, e violato il suo corpo, si apre un baratro.
Se ogni individuo ha valore nella sua singolarità, tutti hanno valore.
Se al contrario la primarietà è data al collettivo, alla comunità, se è l’anonima società di massa ad aver valore, solo coloro che si assoggettano ad essa, che si omologano, che vi si identificano, si salvano. Devi annullarti nel noi.
Solo coloro che sono riconosciuti come “degni” di parteciparvi , omologandosi e rinunciando al Sono Io, potranno salvarsi.
Un pericolosissimo assunto foriero di ideologia dissennata, violenta e manipolatrice.
In forza del primato della collettività si avvia una suggestione/incantesimo attraverso la propaganda e il condizionamento dello spirito.
L’incantesimo della società di massa che apre all’idea di essere degli eletti, dei privilegiati, di rappresentare un Noi speciale, risiede nell’illusione di essere parte di un tutto, di una grande famiglia, di una grande collettività, di essere accolti, tutelati, accompagnati nel percorso della vita, alleggerendo le responsabilità dell’essere, la fatica dell’esistenza, della singolarità.
Liberando dalla fatica di pensare, di capire, di essere da solo con te stesso, di relazionarti, di scegliere, la società di massa ti solleva dalla fatica dell’individuazione. Ti indica persino che corpo devi avere . Ti offre un modello identitario al quale aspirare.
È una promessa regressiva di accoglimento, un ritorno ad uno stato infantile, dove qualcuno si occupava di noi, ci diceva cosa fare, cosa non fare, il giusto e l’ingiusto. Ci diceva cosa è bene e cosa è male.
Il Noi, che sostituisce nella società di massa il Sono Io, seduce, ammalia, incanta.
Riconduce ad un rapporto di dipendenza salvifico, ad un infantilismo fuori dal tempo.
Nell’Odissea, Ulisse mostra la potenza dell’incantesimo della regressione, dell’abbandonarsi alla seduzione del nulla del niente, ma resistendo al canto delle Sirene che lo vogliono condurre su una strada senza ritorno, egli rappresenta colui che, non senza fatica, si evolve, si distacca dal primitivo, dalla dipendenza attraverso la ragione e la libertà, individuando la via della fondazione dell’essere.
Capitolo 6 – Il ritorno alla civiltà e alla singolarità dell’essere.
La Costituzione Italiana.
Se riflettiamo su alcuni capisaldi della nostra Costituzione Italiana, comprendiamo come essa sia sorta sulle macerie morali del conflitto lasciatosi alle spalle.
Sulle macerie morali di un collettivismo massificato presoggettivo, preindividuale, che ha riportato drammaticamente la società al primitivismo, ad una condizione esistenziale immaginaria popolata da mostri, demoni e orchi.
Nell’arcaico del non essere, nel quale il nazismo ha fatto piombare il mondo simbolicamente prima della stessa creazione: in un buio privo di vita, in un deserto arido privo di tempo e di spazio.
Dio non è “morto”.
Non si era ancora disvelato, poichè Dio è “l’iniziatore di ogni tempo”. (Sant’Agostino)
E dunque nella nostra Costituzione troviamo principi che identificano l’assoluta necessità di difendere l’individuo e la sua inviolabilità; di riconoscerne la dignità.
I capisaldi della nostra Costituzione Italiana sanciscono con forza e determinazione l’inviolabilità dell’individuo, della sua corporeità, quale principio di identità soggettiva e spirituale. Impossibile affermare il contrario.
Stefano Rodotà nella sua Lectio magistralis ci dice che: “L’essere umano è inviolabile”. “Tutto comincia nel 1946 con quello che è stato chiamato il Codice di Norimberga, che si apre con queste parole: il consenso volontario del soggetto umano è assolutamente essenziale”. Il concetto di consenso rinvia a quello stato di coscienza che fonda la singolarità dell’essere. Alla libertà di scelta. Ma ancora più importante è ricordare l’ultima parte del secondo comma dell’art. 32 della Costituzione, che tutti si dimenticano di citare. E cioè quello che dice che, anche se opera con legge, il legislatore “non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
La necessità di ribadire questi concetti di dignità dell’essere e della sua inviolabilità soggettiva è purtroppo assolutamente necessaria, poiché l’incantesimo della massificazione e della liquidazione dell’individuo e della sua soggettività, insieme alla sua libertà di scelta, aleggia nelle menti e fors’anche nei cuori di chi ancora , alla fine del secondo conflitto, si identifica con la massificazione che apre a possibilità di un potere manipolatorio.
La Costituente. . Se andiamo a studiare la Costituente, vediamo che “ Il 28 gennaio 1947 un membro dell’Assemblea di nome Aldo Moro, si presentò in Commissione spiegando che i medici dell’Assemblea gli si erano rivolti chiedendo di introdurre delle limitazioni al potere del legislatore di disporre trattamenti sanitari coattivi.
Dice Aldo Moro,“…Non soltanto ci si riferisce alla legge per determinare che i cittadini non possono essere assoggettati altrimenti a pratiche sanitarie, ma si pone anche un limite al legislatore, impedendo pratiche sanitarie lesive della dignità umana. Si tratta, prevalentemente, del problema della sterilizzazione e di altri problemi accessori”.
Nel 1947 la memoria di certi aberranti fatti era recente.
Si pone il problema della fondamentale libertà individuale che non può non essere garantito dalla Costituzione, quello cioè di affermare che non possono essere imposte obbligatoriamente ai cittadini pratiche sanitarie, se non vi sia una disposizione legislativa, impedendo, per conseguenza, che disposizioni del genere possano essere prese dalle autorità senza l’intervento della legge.
La proposta di Moro venne avversata da diversi costituenti, tra cui Umberto Nobile, primo deputato del Pci subito dopo Togliatti.
Umberto Nobile, del Partito comunista italiano, afferma la necessità e l’opportunità della sterilizzazione perché “la legge dovrebbe prevenire che siano messi al mondo degli infelici destinati alle malattie ereditarie”.
Dopo ampia ed accesa discussione, in Costituzione si scrisse che il legislatore “non può violare i limiti del rispetto della persona umana”.
Non è una norma generica. È una norma di sbarramento, come precisa bene lo stesso Aldo Moro in Commissione, “per evitare che la legge, per considerazioni di carattere generale e di mala intesa a tutela di interessi collettivi, disponga trattamenti del genere”.
Aldo Moro nel 1947 si riferiva anche all’irreversibilità degli effetti di determinati trattamenti sanitari che possono essere disposti con legge.
Una persona “si può sbattezzare. Ma ci sono trattamenti sanitari che non sono reversibili. La sterilizzazione è senza dubbio uno di questi trattamenti, ma possiamo aggiungere oggi anche il vaccino.
I “paletti” che pone il legislatore in questi casi sono due: le risultanze tecniche/scientifiche e la norma di sbarramento voluta da Moro in Costituzione.
La Costituzione sancisce che nessun “sacrificio” che violi la corporeità e la dignità va chiesto all’individuo a favore della collettività ma all’inverso, dovremmo aggiungere noi, si dovrebbe chiedere alla collettività, intesa come alleanza tra individui, il sacrificio per salvare l’identità individuale di ciascuno.
Solo così si può salvaguardare l’universale della soggettività, la libertà e la dignità umana, vanificatesi sotto i colpi della ideologia della società di massa. Del collettivo che si propone come nuovo soggetto identitario.
La condizione che il nuovo soggetto moderno rappresentato dalla società di massa, dalla comunità sociale ti chiede, al contrario, che si rinunci alla singolarità e alla libertà individuale, alla soggettività propria, al corpo proprio, all’autodeterminazione, alla libertà, e che l’individuo abdichi dalla propria soggettività e si consegni alla società di massa, alla comunità sociale attraverso un atto di fede.
Anche la collettività sociale vuole essere adorata. Come un Dio
Lì, 20 febbraio 2022